ENTE NAZIONALE CINOFILIA ITALIANA DISCIPLINARE DEGLI ADDESTRATORI CINOFILI E DEI VALUTATORI CINOFILI

Allegato

CODICE DEONTOLOGICO ADDESTRATORI CINOFILI

 

Disciplinare Addestratori

1. L’addestratore deve esercitare la propria attività con la massima professionalità, mantenendosi aggiornato sulle normative emanate dall’ENCI per quanto riguarda il suo lavoro e le manifestazioni cinofile alle quali partecipa o intende partecipare.

2. L’addestratore deve utilizzare unicamente sistemi di educazione basati sul rinforzo positivo finalizzando lo stesso al miglioramento della docilità e del controllo del cane.

3. L’addestratore deve munirsi di strutture ed attrezzature idonee ad assicurare un adeguato trattamento igienico-sanitario ai cani a lui affidati.

4. L’addestratore non deve accettare più cani di quanti egli possa ragionevolmente addestrare, in considerazione, anche, delle strutture e dei mezzi di cui dispone.

5. L’addestratore deve mantenere con i clienti corretto contegno, impegnandosi a richiedere giusti compensi e per la sola attività effettivamente prestata, assecondandone i desideri e mantenendoli al corrente dei metodi impiegati, dei progressi e dei risultati ottenuti.

6. L’addestratore deve prodigarsi, per quanto nelle sue possibilità, nel conseguimento dei risultati sperati dal cliente e, quando avesse a ritenere il soggetto a lui affidato non in possesso delle qualità richieste, deve renderne edotto il cliente stesso, per consentirgli di assumere le decisioni che riterrà più opportune.

7. L’addestratore deve avvertire il cliente allorché ravvisi che il cane a lui affidato possa ritenersi potenzialmente pericoloso.

8. L’addestratore deve astenersi dal commentare criticamente l’operato ed il contegno dei colleghi, impegnandosi a rispettarne e comunque a non ostacolarne l’attività, anche nel corso di manifestazioni cinofile.

9. L’addestratore deve impegnarsi al più assoluto rispetto delle norme che regolano le manifestazioni cinofile, favorendo l’operato di organizzatori, concorrenti ed esperti giudici ed evitando di commentare giudizi riguardanti sia cani da lui presentati che altri concorrenti.

10. L’addestratore non deve presentare soggetti a lui affidati in manifestazioni cinofile in cui prestino attività di esperto giudice il proprietario dei cani suddetti, o famigliari, o conviventi del proprietario.

11. Una condanna definitiva per maltrattamento d’animali comporterà la radiazione dall’albo degli addestratori.

tratto dal sito http://www.enci.it/documenti/DisciplinareAddestratori.pdf

QUELLO CHE I CANI PENSANO

di Luca Rossi

L'etologia classica, il behaviorismo, la psicologia canina hanno in parte decodificato le esibizioni comportamentali dei cani, interpretando segnali e posture emesse dai canidi. Ma nel comportamento non tutto si è appreso, anzi molto risulta di pertinenza dell'innato, cioè di quelle espressioni che sono catalogate come istinti. I sostenitori della corrente behavioristica considerano il cane come una macchina, progettata principalmente per rispondere a stimoli esterni, mentre gli etologi ritengono il cane un animale che ricerca attivamente questi stimoli. Lo studio classico del comportamento dei cani ritiene che il quattro zampe possa disporre di un energia di origine endogena (proveniente dall'interno della mente e del corpo dell'animale), peraltro mai completamente dimostrata, che si ricava dalla motivazione e dagli stimoli che innescano il comportamento attivo.

I segnali percettivi, se sono captati da un soggetto "disponibile" (per disponibilità s'intende sensibilità corporea e mentale), innalzano il livello di quest'energia; pertanto, gli stimoli potranno essere più deboli per evocare l'azione e viceversa. Si tende a definire energia questo "motore interno" che gli etologi pongono tra la motivazione e l'azione, al quale non riservano uno spazio mentale vero e proprio. Per questo motivo, l'etologo Lorenz si è dedicato allo studio degli istinti che sono da considerare degli automatismi.

L'etologia cognitiva, invece, ha cominciato ad inserire, tra la motivazione e l'azione, l'attività mentale chiamata pensiero, che abilita il cane a "stimare le situazioni", in pratica a compiere operazioni mentali. La difficoltà sta nel fatto che il cane non parla e quindi non può comunicare ciò che sente o quello che pensa. Questa limitazione di per se da spazio a molteplici interpretazioni sulle motivazioni del suo comportamento.

La psicologia cognitiva ammette quindi di entrare nel pensiero dell'animale, vale a dire consente di sperimentare se esiste un tipo d'elaborazione mentale, tra il voler esprimere un'azione e l'espressione dell'azione stessa.

L'etologia cognitiva, quindi, non si ferma esclusivamente ad analizzare i comportamenti istintivi catalogandoli esclusivamente in espressioni automatiche, ma gli etologi cognitivisti hanno chiamato in causa l'intelligenza, condizione che spiega operazioni mentali a volte elaborate e che dimostrano il senso logico per la specie rappresentata.

Il cane è un predatore che sa ritrovare zone idonee alla caccia, che tende agguati, che insegue, che sceglie la preda, che vive in branco, che si adatta all'uomo. Il problema sta nel fatto che il cane non pensa come un uomo, e molto spesso la sua logica non corrisponde a quella delle persone. L'antropomorfismo non aiuta la convivenza tra uomo e cane, così come l'eccessivo (per non dire esasperato) sentimentalismo che si trova in molte relazioni tra cane e padrone, penalizza il rapporto. Lo studio sui carnivori, come il cane, è di sicuro aiuto per approfondire la conoscenza del comportamento e della cognizione dell'uomo, in quanto tali soggetti documentano in modo straordinario i processi evolutivi delle capacità cognitive. Questi animali, nel corso del tempo, hanno dovuto adattarsi a veloci cambiamenti delle condizioni ambientali, adattando il loro comportamento. Tali modificazioni hanno caratterizzato anche aspetti comportamentali di natura sociale, come durante le fasi d'approvvigionamento del cibo appaiono svolgimenti sociali suscettibili di rapide evoluzioni, come ad esempio la suddivisione dei compiti.

I proprietari di cani domestici, vista la continua e stretta convivenza con i fedeli amici, raccontano spesso di comportamenti che implicano "riflessioni" da parte del cane.L'addomesticamento a volte sopisce alcuni istinti mentre celebra atteggiamenti adattivi e funzionali per la convivenza all'interno del gruppo sociale umano.

L'ansia da separazione nei cani

di Luca Rossi

L'ansia da separazione dei cani è rappresentata dal timore o dall'avversione all'isolamento. Le espressioni di questo disagio sfociano normalmente in comportamenti indesiderati. L'ansia da separazione rappresenta una delle più comuni cause dei problemi di comportamento. I giovani cani, essendo animali sociali, sviluppano rapidamente un grande legame affettivo nei confronti del gruppo famigliare e molto velocemente identificano il "capobranco". Questo tipo di rapporto implica fiducia ed un sano legame votato alla cooperazione di branco. Tuttavia, quando un cane dipende eccessivamente dal proprietario, possono sorgere problemi ricollegabili all'ansia da separazione.

I comportamenti mostrati dal cane che soffre di ansia da separazione, e che sono da ritenersi segnali di stress, possono essere molteplici: minzione e defecazione in zone inadatte, comportamento distruttivo, autolesionismo, richiesta di attenzione (gemiti), depressione ed iperattività. Queste espressioni comportamentali posso avere altre cause, ma se gli stereotipi di comportamento sono esibiti dal cane in assenza del proprietario o si presentano appena dopo la sua partenza, in questo caso, l'ansia da separazione può essere la causa più probabile.

E' buona regola accertarsi che il comportamento anomalo non sia causato da problemi di origine organica. Vi sono alcuni fattori che contribuiscono all'insorgere del problema comportamentale definito ansia da separazione e tra questi vi è una anomala predisposizione alla dipendenza. Un cane timido, pavido, insicuro e che non ha sviluppato autostima è un probabile candidato alla patologia. Anche gli eventi traumatici che possono caratterizzare la vita del cane possono predisporre all'ansia da separazione, così come un precoce distacco dalla madre. Durante il mio lavoro di analisi del comportamento dei cani, mi è capitato di diagnosticare "ansia da separazione" causata da improvvisa variazione ambientale, cambio di proprietario e stile di vita o lunga assenza di un soggetto della famiglia reputato "gerarchicamente importante". Anche l'arrivo di un nuovo membro famigliare, come ad esempio un bambino o un altro animale, può essere causa dell'insorgere di ansia da separazione.

I cani afflitti da questa patologia comportamentale reagiscono diversamente. Alcuni esprimono un solo comportamento problematico, altri esibiscono una serie di azioni indesiderate. Molti soggetti riescono a percepire quando il loro proprietario sta per uscire ed a volte diventano ansiosi ancor prima che il padrone lasci la casa. Questi cani seguono il proprietario di stanza in stanza agitandosi e lamentandosi. Alcuni soggetti possono anche avere espressioni aggressive. Il livello di stress accompagnato da agitazione del cane raggiunge il picco più elevato nei trenta minuti successivi la partenza del proprietario. Solitamente, in questo lasso di tempo si verificano danni a mobili e suppellettili. I cani che soffrono di ansia da separazione graffiano porte e finestre, grattano il pavimento nell'improbabile tentativo di seguire il Padrone. Alcuni soggetti masticano e rosicchiano oggetti di famiglia o cose appartenenti al proprietario, altri urinano e defecano in casa. I cani che soffrono di questa patologia comportamentale e che esprimono depressione possono rifiutare cibo e acqua e in casi rari manifestare diarrea, vomito e forme di automutilazione. Al ritorno del proprietario questi cani manifestano saluti prolungati fatti di gemiti e movimenti agitati e convulsi.

Il trattamento di questo disturbo di comportamento prevede di agire in alcuni casi sulla causa e sull'effetto, in altri di condizionare esclusivamente l'effetto. L'uso e l'abitudine alla gabbia casalinga conduce il cane a tranquillizzarsi all'interno della "tana", evitando l'escalation emotiva nei cruciali primi trenta minuti. L'abitudine all'obbedienza domestica rafforza il rapporto tra cane e padrone e se i metodi didattici sono adatti e gentili, aumenta la sicurezza del cane. Se l'animale vive l'addestramento in modo positivo e prova la soddisfazione del successo, sviluppa rapidamente autostima e la situazione potrebbe migliorare velocemente. Questi metodi agiscono sull'effetto e non sulla causa, tuttavia conducono il cane a comportamenti maggiormente contenuti.

La punizione è controproducente. Punire il cane quando si mostra ansioso peggiora la situazione ed il suo stress aumenterà ad ogni partenza del proprietario. Il metodo più frequentemente utilizzato per trattare questo disturbo di comportamento è rappresentato dal controllo delle partenze e degli arrivi da parte del proprietario. E' necessario poter registrare, tramite videocamera, il comportamento del cane, leggere le posture del suo corpo ed i suoi atteggiamenti. Il proprietario deve sottoporre il cane a ripetute partenze ed i tempi di assenza devono essere brevi, bisogna ricordare che il periodo critico sono i primi trenta minuti dalla partenza del padrone, perciò è necessario ridurre l'assenza a pochi istanti. L'utilizzo della videocamera consentirà al proprietario di tornare prima che lo stato ansioso abbia inizio o che raggiunga livelli elevati. Il proprietario prima di uscire deve accertarsi che il cane non sia sovreccitato e non deve dilungarsi in saluti inopportuni. Lentamente, in progressione andranno aumentati i tempi di assenza fino al raggiungimento dei "delicati" trenta minuti.

Il proprietario, successivamente, potrà assentarsi per maggior tempo. Superato il tempo di novanta minuti, con un corrispondente comportamento corretto da parte del cane, si potrà lasciare l'amato Fido solo anche per l'intera giornata. La partenza ed il ritorno del Proprietario dovrebbero essere caratterizzati da calma, tranquillità ed equilibrio, evitando così eccessiva eccitazione da parte del cane. E' buona regola adottare atteggiamenti caratterizzati da passività, così non bisogna dare attenzione quando il proprietario si assenta e nemmeno elogi, al ritorno. Eccessiva attenzione alla partenza ed al ritorno sembrano aumentare l'ansia durante la separazione. Nei casi in cui il cane presenti un attaccamento morboso nei confronti di una persona, si può istituire un periodo di tre settimane in cui il proprietario deve ignorare completamente il soggetto.

Molto spesso risulta efficace lasciare un "compito" al cane prima della partenza: un osso da rosicchiare, il cubo o la palla per l'attivazione mentale, conducono il cane a distrarsi evitando stress. Anche lasciare la TV accesa o far sentire al cane rumore domestici quotidiani può dare beneficio. E' necessario fare attenzione affinché il cane non associ la "concessione" con la partenza del Proprietario, pertanto è necessario ricollegare il gioco o l'osso a situazioni precedenti di sicurezza. Sono attualmente disponibili farmaci che possono aiutare il trattamento dell'ansia da separazione. Personalmente non ritengo efficace il solo trattamento farmacologico. Per avere buoni risultati è necessario prevedere, nei casi più difficili, l'uso del farmaco (ansiolitico), in abbinamento a terapia comportamentale. Il compito del farmaco è quello di contenere a livelli accettabili lo stato d'ansia: la terapia comportamentale serve per controcondizionare il soggetto. Il problema dell'uso di alcuni farmaci è l'eccessivo effetto di sedazione che li caratterizza.

Alcuni soggetti, a cui è dispensata la sostanza medicinale, dormono profondamente e non sono trattabili con terapia comportamentale. In questo caso, se si sospende l'applicazione del farmaco, il problema persiste. Personalmente ritengo che la prevenzione sia la soluzione più efficace e naturale. Fin da cucciolo, il cane deve capire che vi sono momenti in cui il Proprietario non ha tempo per lui, il giovane cane deve riuscire a rimanere da solo in tranquillità. La tenera età del piccolo aiuta questa situazione in quanto, dopo il gioco c'è l'alimentazione e dopo l'alimentazione il riposo. E' un proprietario maldestro colui che non stacca mai da se il cucciolo e che continua a compatirlo con infiniti "poverino". E' buona regola seguire ed educare il cane, ma è necessario preventivare subito, periodi di "sereno isolamento", perché il nostro amato cane deve saper stare da solo senza essere terrorizzato da questo fatto. Tutto va gestito con armonia e tranquillità. Se il vostro cane è affetto da ansia da separazione, intervenite immediatamente per risolvere il problema. Se il cane vive per molto tempo questo tipo di stress, può ammalarsi e soprattutto diventa ogni giorno più difficoltoso porvi rimedio. E' necessario contattare il Veterinario ed il Comportamentista esperto in psicologia canina e pianificare un programma che preveda trattamenti farmacologici (se necessari) e comportamentali.

Nei casi più difficili si può preventivare il ricovero per due settimane in centri specializzati, dove il cane è inserito in coppia o gruppo di cospecifici e a step-to-step viene abituato a rimanere solo in tranquillità. Concludo affermando che l'ansia da separazione può diventare un serio problema di convivenza. Lavorare in prevenzione è logico, ecco perché è necessario che gli Allevatori, gli Educatori Cinofili, i Veterinari e tutti gli operatori del settore, diffondano una sana cultura cinofila fin da quando il cane entra negli ambienti domestici e nel gruppo sociale dell'uomo.

Questo è il motivo per cui ho deciso di pubblicare questo mio scritto.

 

 

tratto dal sito www.lucarossi.com

 

 

 

Contro l’abbandono ed a favore del cane di razza

Una cultura cinofila

 

“È innegabile che prendendo un cane come fosse un paio di scarpe la possibilità che venga abbandonato è altissima”

 

 

Per amicizia e per curiosità ho partecipato ad un simposio che aveva come oggetto un interessante progetto sui canili di ricovero dei cani abbandonati. I relatori e gran parte dei partecipanti erano educatori con anche una buona rappresentanza di quelle persone che nei canili svolgono il volontariato. All’inizio confesso che mi sentivo un pesce fuor d’acqua, fino al punto da ammettere con riluttanza che ero un allevatrice di cani di razza; temevo ostilità e discussioni e quindi zitta zitta mi sono accomodata ed ho incominciato a chiedermi cosa facessi lì dove nessuno avrebbe capito perché a me importa tanto della razza che allevo. Pian piano però la bravura dei relatori ha stuzzicato la mia curiosità e l’interesse ha preso il posto del disorientamento. Ho scoperto così un mondo sconosciuto di gente giovane piena d’entusiasmo che ama il cane quanto chi alleva con serietà e, nel sentire i loro interventi e le discussioni che ne nascevano, mi è venuto naturale pensare: cosa facciamo noi allevatori perché i nostri cuccioli, frutto magari di tanti anni di lavoro, non vengano abbandonati ad un assurdo destino? Cosa fa l’ENCI perché gli allevatori possano a loro volta fare? Voglio invitare a riflettere e forse anche offrire uno spunto di discussione a chi dovrà prendere decisioni per la “tutela del cane di razza”. Qualche anno fa ci è arrivato dall’ENCI un bel manifesto contro l’abbandono del cane, uno di numero! Cosa avremmo dovuto farne? Fossero stati 50 per allevatore avremmo trovato sicuramente a chi farli affiggere, ma uno? Qualcuno di noi “disperatamente” tenta di fare un minimo di formazione almeno a chi affida i propri cuccioli, ed a tutti coloro che ci capitano a tiro. Qualcuno fa dei veri e propri interrogatori a chi chiede un cucciolo, con il risultato, frequente, che ti piantano lì con il tuo cucciolo e le tue domande e vanno a prenderlo a “cucciolandia” dove nessuno gli rompe le scatole e gli danno esattamente quello che vuole: maschio/femmina, a pois blu con occhi verdi, che non abbaia e non sporca (praticamente il cane della Nintendo!) per abbandonarlo senza rimorsi dopo quanto tempo? una settimana? un mese? un anno? Pur essendo naturalmente da condannare, è innegabile che, prendendo un cane come fosse un paio di scarpe, la possibilità che venga abbandonato è altissima. Tornando però ai nostri cuccioli, perché nei canili ci finiscono anche molti dei nostri cani di razza? Possiamo elencare un infinità di motivi, ma di fondo l’unico vero motivo per cui i cani di razza, e non, vengono abbandonati è la “mancanza di cultura cinofila”. Bella espressione, vero? Ultimamente se ne sente parlare spesso ma rischia di diventare la facile giustificazione ad ogni problema del Cane, un semplice luogo comune se non le si da un significato. Sia che s’intenda il termine cultura come apprendimento e formazione sia che gli si attribuisca il significato antropologico di insieme di valori e comportamenti, possiamo rendere concreto il concetto di cultura cinofila considerandola come l’insieme della formazione, necessaria per conoscere meglio il Cane, che ci porterà a rispettarlo per l’essere vivente che è senza snaturarlo del suo essere, facendoci così modificare le nostre abitudini in modo da ottenere la migliore convivenza possibile sia per l’Uomo che per il Cane. La diffusione della “cultura cinofila” dovrebbe diventare uno degli obiettivi della nostra associazione semplicemente perché è necessaria per la vita degli allevatori. Durante il seminario a cui ho assistito mi sono sentita una specie in via di estinzione.

Forse non sarebbe capitato a chi alleva Pastori Tedeschi o Setter, forse!?!? Di sicuro è successo a me che allevo Cane da Pastore Bergamasco e che avrei quindi dovuto sentirmi in una botte di ferro visto che la razza che allevo è autoctona e già solo per questo dovrebbe essere zootecnicamente interessante e quindi protetta. Questa sensazione è nata dall’essere venuta a conoscenza della realtà, finora a me relativamente sconosciuta, dei canili e soprattutto del mondo cinofilo che gli ruota attorno. Non posso fare ora un resoconto di tutto ciò che ho sentito, di giusto e di sbagliato, perché avrei bisogno molte e molte pagine. Forse qualcuno, secondo me sbagliando, starà anche pensando: che importa a noi allevatori tutto ciò? Andando però ad ascoltare e a conoscere anche ciò che pensiamo esserci ostile, oltre ad imparare molte cose sul benessere del cane in generale, ho avuto la possibilità di riflettere sul fatto che il canile potrebbe diventare la principale fonte di approvvigionamento ove il pubblico potrà trovare il proprio cane in futuro. Ecco allora che la domanda iniziale diventa: a chi daremo i nostri cuccioli? Avrà ancora un senso allevare? Se non vogliamo essere solo gli “alimentatori” di un sistema perverso fatto di Acquisto, Abbandono e Adozione dei cani dobbiamo essere promotori della diffusione della “cultura cinofila”. Non possiamo continuare a farlo come isolate iniziative private di pochi seri ed ingenui Allevatori. Noi allevatori abbiamo bisogno che il nostro Ente almeno ci sostenga e supporti iniziative in questo senso perché in futuro ci siano sempre meno canili dove andare a prendere cani abbandonati e sempre più allevamenti seri dove chi prende un cucciolo trova anche assistenza per i piccoli grandi problemi che un proprietario, soprattutto se neofita, trova nel convivere oggi con un cane. Il posto per eccellenza dove coltivare la cultura è la scuola ed è da lì che bisogna iniziare. Promuovere la cultura cinofila da parte dell’ENCI e dei suoi soci oltre ad aprire l’Ente al resto del mondo, facendo si che se ne conosca fra l’altro lo scopo zootecnico, aiuterebbe il contatto con gente giovane che potrebbe magari avvicinarsi all’allevamento, potrebbe perfino aiutare una migliore convivenza anche con chi non ha cani ma soprattutto potremmo finalmente avere dei “cinofili responsabili”. Allora si che ognuno avrebbe un ruolo chiaro nella vita del Cane; gli allevatori, i veterinari, gli educatori, mentre i canili potrebbero infine diventare solo dei luoghi d’incontro e di assistenza per quei casi estremi ed imprevedibili che la vita in ogni modo ci riserverà sempre.

 

Lele Mariani

fonte : http://www.enci.it/rivista/articolo.php?anno=2009&numero=11&ordine=7

 

 

Se sei aggressivo lo sarà anche il tuo cane

Tale padrone tale cane. Il nostro umore e il nostro comportamento, secondo uno studio dell’Università della Pennsylvania, influenzerebbero il temperamento del tanto amato "fido". Non basteranno le migliori scuole di addestramento a ingentilire il carattere del nostro amico a quattro zampe, dicono infatti i ricercatori, se il proprietario adotta nel rapporto con l’animale un atteggiamento violento e dominante.

“Il motivo principale per cui i proprietari di cani portano il loro animale da compagnia da uno psicologo animale comportamentista – spiega Meghan E. Herron, autore dello studio – è soprattutto quello di volerne mitigare il comportamento aggressivo”. Tutto parte infatti dall’atteggiamento del padrone nei confronti dell’animale. "Il nostro studio – continua l`autore – ha dimostrato come a volte anche i migliori metodi di addestramento non bastino a migliorare il temperamento aggressivo del cane”.

Il team della Scuola di Medicina Veterinaria dell’Università della Pennsylvania ha somministrato un sondaggio composto da 140 domande a 30 proprietari di cani rivoltisi agli psicologi animali dell’ateneo per via del carattere aggressivo del proprio animale. Nel sondaggio veniva chiesto soprattutto in che modo fosse stato gestito fino ad allora il rapporto con il proprio cane e se il metodo educativo adottato avesse ottenuto risultati positivi o negativi. Dai risultati è emerso come comportamenti dominanti quali urlare contro il cane, guardarlo dall’alto verso il basso o costringerlo a stare in una determinata posizione avessero prodotto un comportamento aggressivo e violento in più del 25% dei casi.

“Questo studio – conclude Herron – mette in evidenza i rischi legati a un comportamento dominante nell’addestramento del proprio cane. Urlare contro l’animale o usare la violenza può scatenare paura nel cane, che di conseguenza reagisce aggressivamente”. Meglio una carezza, insomma, o il vecchio metodo del biscottino come ricompensa. Solo in questo modo, suggeriscono gli scienziati, il nostro fido potrà riconoscerci come “migliori amici del cane”.

 

fonte www.dog-sitter.it

LA VETERINARIA DISAPPROVA IL METODO MILLAN

12-10-2009
tratto da www.Amvioggi.it

L'Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani chiede la sospensione del programma Dog Whisperer in onda sul canale Sky NatGeo Wild, in quanto diseducativo e contrario ai principi del corretto rapporto uomo animale.

I metodi del famoso addestratore di cani, Cesar Millan, in onda da alcuni giorni in Italia, non sono riconosciuti dalla comunità scientifica veterinaria che disapprova le tecniche coercitive e punitive messe in atto dal dog trainer. Mentre in Italia si afferma il principio dell'educazione al corretto rapporto uomo-animale, con la mediazione sociale del medico veterinario, la TV satellitare manda in onda trasmissioni che vanificano gli sforzi fatti dalla veterinaria e dalle autorità nazionali.

L'Associazione chiede anche l'intervento del Sottosegretario di Stato alla Salute Francesca Martini per il messaggio diseducativo sulla gestione dell'aggressività del cane, contrario alle indicazioni delle recenti ordinanze ministeriali. Nelle trasmissioni si assiste solo alla performance di questa star dei reality show, come se il cane fosse una macchina da domare e nella quale il proprietario non ha nessun ruolo relazionale. Negare l'esistenza della cognizione animale ed utilizzare un metodo basato sulla punizione positiva (forza fisica) nega tutto ciò che negli ultimi anni è stato fatto dalla Medicina Veterinaria Italiana e dal Ministero della Salute.

"Il metodo impiegato - osservano i medici veterinari della SISCA (Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate) - è tutt'altro che delicato come il titolo del programma lascia intendere, e prevede l'impiego di collari a strozzo metallici e di guinzagli di nylon utilizzati come un collare a strozzo. Ciò che più colpisce è il metodo della sottomissione applicato da Millan su pazienti aggressivi: il cane (in due video l'età del cane appare avanzata), con la museruola, era costretto a stendersi sul fianco grazie alla pressione esercitata dall'addestratore. Il paziente era bardato con il guinzaglio (applicato a strozzo al collo ed al gancio della pettorina), ansimava, biascicava, presentava tremori, tachipnea, midriasi, aumento della salivazione e la lingua assumeva una colorazione bluastra durante la pratica. Inoltre, per far apprendere ad un cane a nuotare, l'addestratore lo ha trascinato (lentamente) dentro una piscina dapprima sostenendolo, poi tenendolo tra le braccia pancia all'aria ed in seguito abbandonandolo per uscirne rapidamente".

I medici veterinari comportamentalisti italiani concordano con le critiche già avanzate dai colleghi statunitensi dell'American College of Veterinary Behaviorists (ACVB), American Society of Animal Veterinary Behavior (AVSAB) e la Society of Veterinary Behavior Technicians (SVBT): la medicina comportamentale veterinaria ha fatto costanti sforzi per progredire in professionalità, raffinatezza tecnica e standard di benessere animale. Con Millan si compie un grosso passo indietro.